“Bella, durevole ed ecologica”: così Renzo Piano aveva definito la piastrella di ceramica, nel suo memorabile intervento a Cersaie 2009. Un appuntamento, quello di oggi, che si apre nel segno della continuità, con la presentazione di uno dei più importanti progetti d’architettura d’avanguardia realizzati negli ultimi dieci anni, da un lato. Con la presentazione, dall’altro, di un edificio che sfrutta al massimo, valorizzandole, le potenzialità insite nella piastrella di ceramica.
L’opera si chiama Central Saint Giles, peraltro oggetto di uno spazio espositivo dedicato nell’area mostre, un progetto ambizioso, inaugurato nel maggio scorso, che per la prima volta viene presentato ufficialmente in una fiera internazionale. A firmare il progetto, il Renzo Piano Building Workshop, impresa e filosofia dell’architettura allo stesso tempo, che ad oggi vanta 130 collaboratori dislocati nelle sedi di Parigi, Genova e New York. Sul palco dei relatori, Lia Piano, figlia del maestro e direttore della Fondazione Renzo Piano.
“Abbiamo scelto questo progetto – ha osservato Lia Piano durante la presentazione ufficiale che si è svolta questa mattina al Palacongressi di Bologna – perché ci permette di valorizzare al massimo la ceramica, che ha avuto un ruolo fondamentale. Ma lo abbiamo scelto soprattutto per dare continuità alla filosofia del Renzo Piano Building Workshop e alla sua attività di formazione. Abbiamo una ‘bottega’, a Genova e Parigi, dove ogni anno vengono accolti 14 studenti provenienti dalle migliori università e scuole di architettura del mondo. Il nostro approccio si può definire abbastanza anti-accademico: non ci sono insegnanti, lezioni, teorie: gli studenti entrano subito a far parte di un team e lavorano ogni giorno su progetti concreti”. Molto della personalità di Piano, molto dell’architettura moderna, viene a trovare una perfetta sintesi nel progetto del Central St. Giles, pensato per essere vissuto e adottato dai londinesi nella loro quotidianità. “Capocantiere”, recuperando la metafora della bottega, è l’architetto olandese Maurits Van Der Staay, associato all’RPBW dal 2000. Un professionista di fama internazionale già “firmatario” della berlinese Potsdamer Platz.
“Si tratta di un edificio che sorge nel cuore di Londra – ha scandito, in perfetto italiano, il direttore del progetto – tra Bloomsboory, Soho, Covent Garden. Un edificio molto grande, di ben 65mila metri quadrati, dei quali 40mila adibiti ad uffici, 10mila ad appartamenti, il resto, al piano terra, a ristoranti e luoghi di socialità. Si è trattato di un lavoro molto lungo, durato quasi 8 anni, per un edificio dal grande impatto visivo sulla city e peraltro situato in mezzo a quartieri molto antichi di Londra e molto conosciuti e frequentati dai londinesi”.
La struttura originaria su cui si è andato a innestare il Central St. Giles? Una vecchia sede del ministero degli Interni.
“Si trattava – ha rilevato Van Der Staay – di un edificio cupo, buio, inaccessibile, un luogo degradato e sede di comportamenti anti-sociali. Quello che ci siamo proposti di fare è cambiare radicalmente questa struttura trasformandola in qualcosa che prima non esisteva. Le parole chiave di questo percorso sono state massa, frammentazione, piazza, permeabilità, accessibilità, trasparenza. E per ottenere questi effetti un ruolo chiave è da attribuire all’utilizzo del colore e, quindi, della ceramica”.
Un edificio imponente, ma solo dall’alto. Provenendo da vie e vicoli circostanti il Central St. Giles si scopre quasi per caso, quasi fosse, da sempre, parte integrante della città. E poi la trasparenza, l’accessibilità. Ogni via d’accesso all’edificio consente di attraversarlo da un capo all’altro, la stessa piazza centrale, aperta a tutti, ospita locali e luoghi di socialità. Una piazza relativamente piccola ma dall’effetto ottico aperto e spazioso grazie, anche qui, all’utilizzo di una ceramica da rivestimento all’avanguardia, sviluppata da RPBW in stretta sinergia con una nota azienda italiana produttrice di estruso. Un lavoro di squadra, dunque, per arrivare ad un risultato di valore tale da essere oggetto, proprio a Cersaie, di una mostra dedicata, curata da Aldo Colonetti e dallo Studio Origoni Steiner per onorare il lungo percorso di ricerca estetica, antropologica, sociologica e urbana che ha portato RPBW a completare questo progetto.
“Oggi – ha sottolineato Colonetti – siamo qui non solo per parlare di architettura, ma per interrogarci sul futuro di questi mestieri. L’architettura non è e non può essere solo accademia, ma luogo in cui ceramica e materiali trovano la loro collocazione ideale, potremmo dire, la loro ‘verità’. La bottega, il mestiere, sono alla base dell’architettura. Se siamo qui oggi a presentare questo progetto è perché c’è qualcuno che ha imparato il mestiere”.
Tra questi, parte integrante del team che ha lavorato al progetto del Central St. Giles, l’italiano Lorenzo Piazza, prima studente e, poi, da 4 anni in RPBW, “segno – ha osservato la stessa Lia Piano – che la bottega ha funzionato”. Sono arrivato all’RPBW il primo settembre del 2006, proprio all’indomani dell’approvazione del progetto del Central St. Giles. Sono arrivato a Parigi, e sono stato accolto da questo team. Quello che noi facciamo – ha rilevato Piazza entrando nei dettagli del progetto e, più in generale, del metodo di lavoro di RPBW – è trasformare una visione in una forma tridimensionale, andando alla ricerca di texture, profondità, studiando la grana delle facciate. La sfida è quella di dare uno spessore alle forme, di dare profondità grazie all’utilizzo di luci e ombre. Una sfida non facile, che ci è costata mesi di prove, aggiungendo via via materia, passando da una a due, quindi a tre dimensioni, con modelli in scala delle singole parti – ben 140mila i pezzi che compongono l’edificio – e poi di intere porzioni di edificio”.
Un edificio che ospita 22 tipi di facciate, in ognuna delle quali la ceramica, nella sua molteplicità di forme e colori, gioca un ruolo da protagonista. Un edificio già entrato a far parte, dopo l’inaugurazione avvenuta a maggio scorso, della quotidianità dei londinesi. “Il bello di questo progetto – ha concluso Van Der Staay – è che si è trattato di ‘artigianato industrializzato’, con un lungo lavoro in sinergia con l’azienda ceramica italiana che ci ha fornito il materiale, con la quale avevamo già lavorato ai tempi della Potsdamer Platz”. Il tocco finale? La smaltatura delle piastrelle, che consente al Central St. Giles di cambiare al variare della luce esterna, di apparire ad ogni ora del giorno sempre diverso e sempre uguale a sé stesso.